Il vecchio e la bambina

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Località: Toulon FR
Anno: 20 PE (Post Evento) prima del calendario achelisiano

 

Una potente deflagrazione fece tremare tutto ciò che c’era nella stanza, persino quello che era a terra rimbalzò, sollevando un po’ più della solita polvere finissima che aleggiava perennemente all’interno della casa-famiglia, come del resto in tutta la baraccopoli del porto d’imbarco.
Sabrina strinse a sé il lembo dell’ormai scolorita e sciupata coperta, come a nascondersi, ascoltando il vociare confuso ed allarmato proveniente dalle stanze adiacenti: “Questa era vicina!”, “Speriamo non abbiano colpito la casa-famiglia Eden…”, udì a malapena, prima che tutti i rumori venissero coperti allo scattare della sirena di emergenza, a cui si era talmente abituata che il suo stridio le risuonava persino rassicurante.
Eppure non era di molto tempo fa quando nell’udirla si spaventava da non riuscire più a proferire una sola parola, un particolare dimenticato nella memoria di una vita per quanto recente diversa e lontana da questa.
La ragazzina, che in un’altra epoca sarebbe stata denominata semplicemente come bambina, si alzò con sicurezza dal letto osservandosi attorno. Era notte fonda, lo si intravedeva dalla luce tremolante dei focolai allestiti all’esterno che filtrava dalle innumerevoli fessure della finestra, e lui nel letto non c’era, come si era accorta solo ultimamente. Appoggiò la mano sul suo giaciglio sentendolo freddo, venendo poi attirata dai rumori di passi provenienti dal corridoio, in verità più dei rimbombi che sovrastavano il rumore di fondo della sirena.
Aprì la porta venendo per un attimo sopraffatta dall’enorme tensione che si respirava nel corridoio principale. Un ragazzo arrivò di corsa dalle scale che portavano al secondo ed ultimo piano di quella che doveva essere una palazzina di tutto rispetto, la cui altezza originaria rimaneva sconosciuta a tutti. Driblò un paio di persone e superò Sabrina adocchiandola durante tutto il tragitto, mentre lei era rimasta immobile sulla porta, quasi a dargli precedenza. Quando fu sull’uscio dell’ampia sala refettorio la chiamò per nome, dando l’idea di non sapere se tornare indietro o proseguire, volendo fare entrambe le cose.
“Mi raccomando, non uscire”, le disse. Lei annuì “Stai vicino a tuo nonno, con lui sarai al sicuro”
Sabrina lo guardò con evidente titubanza, allora il ragazzo si chetò, muovendo qualche passo verso di lei “Non è con te?”, le chiese, immaginando già la risposta.
“Deve essere uscito appena è esplosa la bomba”, esitò per un attimo “Il letto era ancora caldo”, mentì, sapendo per istinto che quella era la cosa giusta da dire.
“Vedrai che sta bene… questi vecchi, sempre una spanna più avanti di noi!”, commentò il ragazzo, volendo sdrammatizzare la situazione.
“Forse hanno bisogno di dormire poche ore per notte…”, rispose la ragazzina con un sorriso abbozzato.
“Ivan!”, si sentì chiamare a gran voce dall’esterno dell’edificio “Dove sei finito? Muoviti!”
“Ora devo andare!”, si agitò il ragazzo esibendo buffe espressioni.
La ragazza annuì ridendo e lo guardò correre via, poi quando fu sola si girò verso il letto del nonno fissandolo pensierosa “Dove vai ogni notte, nonno?”

 

“Dove te ne vai ogni notte?”, avrebbe voluto esordire la ragazza appena si sedette al tavolo. Non disse niente e cominciò a sorseggiare la fumosa minestra, avendo l’accortezza di soffiare sul cucchiaio prima di portarselo alla bocca.
“Avresti dovuto vedere tuo nonno questa notte!”, esclamò Ivan, seduto opportunamente a qualche sgabello da loro “Sembrava il comandante di un esercito”, sorrise maldestramente il giovane uomo, che in altri tempi sarebbe stato definito semplicemente un ragazzo, ma a differenza dell’uomo a cui si stava riferendo, lui era sempre vissuto in quel contesto.
“Ero un direttore d’azienda, non scordarlo mai Ivan”, disse il vecchio facendo segno di avvicinarsi.
Il ragazzo non si fece ripetere l’invito, e scalò di qualche posto senza staccare mai gli occhi di dosso a Sabrina, che non smise la sua lenta e sistematica operazione ristoratrice.
“E’ buona?”, le chiese con espressione seria mentre si sistemava sulla sedia.
La ragazza levò gli occhi verso di lui ed annuì, trattenendosi da un solare sorriso.
“Quanti morti?”, chiese il vecchio prima che la ragazza, finito di deglutire, facesse a tempo ad intavolare qualsiasi altro discorso che non riguardasse l’argomento predominante della giornata.
“Almeno una trentina…”, si rabbuiò il ragazzo “ma ci sono ancora dei dispersi”
“Tutti bambini…”, commentò il vecchio, facendo andare di traverso la minestra a Sabrina.
“Colpiscono sempre i più giovani!”, disse con una nota di rabbia Ivan “Sembra conoscano le planimetrie degli edifici… e non solo, anche le sistemazioni”, aggiunse pensieroso.
“Chi potrebbe volere una cosa simile?!”, esclamò inorridita la ragazza.
“Ci vogliono sterminare! Per quello colpiscono soprattutto i bambini. Maledetti religiosi, credono di possedere tutte le verità di questo mondo”, digrignò con evidente disprezzo.
“E tu le possiedi tutte?”, gli chiese il vecchio, osservandolo con molta attenzione.
“Cosa vorresti dire?”, chiese il ragazzo corrucciando la fronte.
“Che non siamo sicuri che sia opera loro…”
Ivan rimase senza parole, provò a sostenere lo sguardo del vecchio con l’intenzione di ribattere, ma cedette sul dubbio che aveva sollevato.
“E chi sarebbe il colpevole di tutto questo?”, intervenne con impeto Sabrina, fremendo all’idea di venire a conoscenza della risposta.
“Io non lo so…”, scosse la testa il vecchio, rendendosi conto della delusione che stava provocando “ma vorrei che rifletteste un attimo su una cosa:”, proseguì, ottenendo l’attenzione da entrambi.
“Qual’é la fazione che sta ottenendo maggiori vantaggi dagli attentati?”
La ragazza si trattenne dal dare una risposta, sicura più di poter dire una stupidaggine data la sua scarsa conoscenza sull’argomento. Si limitò a guardare Ivan che dopo un attimo di titubanza prese coraggio, sentendosi supportato da lei “Ma che domande, i religiosi naturalmente”, rispose con sufficienza.
Il vecchio annuì aspettandosi quella risposta.
“E’ così?”, chiese la ragazza, volendo una conferma dalla persona di cui si fidava maggiormente al mondo.
“Se volete la mia opinione, credo che la convenienza maggiore sia per gli australiani o per quella che alcuni si ostinano a chiamare la nuova umanità”, disse abbassando sensibilmente la voce.
Ivan si adirò a quelle parole, ma il vecchio non lasciò che esternasse il suo dissenso, fin troppo chiaro.
“Se ci pensi è così. Questi attentati non fanno che allontanare le persone dalla religione, facendola apparire una pratica contraria a ciò che rappresenta per sua stessa natura”, concluse il vecchio osservando ad intermittenza i due ragazzi.
“E tu come fai a sapere questo?”, chiese Ivan sollevando lo sguardo dal tavolo.
“Dimentichi ancora una volta che ho vissuto buona parte della mia vita prima del grande cambiamento… allora le religioni si ispiravano ai principi più puri a cui l’uomo possa aspirare, non certo all’odio perpetrato nell’omicidio”
“Basta così!”, lo interruppe bruscamente Ivan “Lo so che stai parlando in buona fede, ma se perdiamo anche questa sicurezza siamo finiti. Non possiamo dubitare della stessa organizzazione che è venuta ad aiutarci. I nostri nemici sono i religiosi!”
“Ma stiamo combattendo contro dei fantasmi! Dove sono i fautori di questi attentati? A parte qualche sommaria esecuzione io non ho ricordi di aver avuto nemmeno notizie di un processo mosso contro dei colpevoli accreditati…”
“Li troveremo, ovunque si stiano rintanando!”
“Non se guarderemo nella direzione sbagliata”, concluse il vecchio scuotendo la testa, mentre Ivan si alzava senza dire una parola.
“Sto solo dicendo quello che penso”
“Lo so, ma non mi sei di aiuto”, disse il ragazzo andandosene.
“Ivan!”, lo chiamò la ragazza ottenendo da lui solamente una breve titubanza nell’andatura.
“Non preoccuparti per lui, gli passerà presto, vedrai”, la rassicurò il vecchio, riprendendo a mangiare la sua minestra ormai fredda.

 

Quella notte Sabrina aveva deciso di aspettarlo sveglia. Era molto tardi e più il tempo passava meno era sicura di quello che stava facendo. Il dubbio le se era insinuato dopo un po’ che stava seduta sul letto del nonno. Inizialmente imbronciata, aveva abbandonato quell’atteggiamento poco alla volta, tornando ad imitarlo un po’ presa dalla noia, un po’ nel pensiero di quale fosse stato il modo migliore di “accoglierlo”. Decise che lì non andava bene quindi si alzò, girovagò un po’ per la stanza, sperando che entrasse in quel momento. “Devo sembrare naturale”, si ripeteva, ormai entrata in quella spirale di insicurezza che sembrava non volerla abbandonare più, anzi peggiorava ogni volta che credeva di aver trovato la giusta soluzione. Che fosse dovuta più che al modo, al fatto che voleva smascherarlo? Anche se non aveva idea di cosa… Si chiedeva ferma di fronte alla porta, immobile già da tempo, decisa nuovamente a cambiare posizione. Fece per aprire la porta, lo avrebbe aspettato fuori, ma si ricredette subito. Di tutte le alternative quella era di gran lunga la peggiore, perché durante la notte era vietato uscire dalla casa-famiglia, e non era buona cosa farlo, soprattutto per una ragazzina giovane come lei.
Tornò a letto, avrebbe fatto finta di dormire, e se avesse preso sonno non importava, anzi, il suo istinto la sembrava rassicurare a quel pensiero. In fondo non era giusto indagare nell’unico aspetto che quell’uomo, sebbene fosse suo nonno, aveva deciso di tenere per sé. Un giorno, se fosse stato il caso, sarebbe stato lui stesso a parlargliene, ne era sicura. E fu in quel momento che la porta della stanza si aprì, facendo scattare Sabrina sul letto, trovandosi così faccia a faccia con il nonno, appena rientrato dalla sua escursione notturna.
“Ti ho spaventata”, commentò il vecchio accompagnando piano la porta, fino a chiuderla.
“Io… non riuscivo a dormire”, disse a stento la ragazza, vincendo il pesante nodo alla gola che le si era creato appena il nonno aveva fatto la sua comparsa, e tornò sotto le coperte nascondendo parzialmente il volto dietro ad esse, sentendosi in qualche modo colpevole. Non avrebbe mai dovuto complottare tutto ciò, ed ora che si trovava nella situazione che aveva a lungo cercato, capì la stupidità con cui aveva agito.
Il vecchio armeggiò sul suo letto preparandosi per coricarsi, fissò Sabrina per qualche istante smettendo poi di spogliarsi.
“Da quanto te ne sei accorta?”, le chiese mentre lei, priva di parole da attingere in una mente svuotata, sprofondava anche con gli occhi sotto le coperte.
“Vieni”, le disse semplicemente. Solo allora la ragazza decise di sbirciare dal suo nascondiglio, vedendo che il nonno aveva già riaperto la porta.
“Dove andiamo?”, chiese per proforma, con un inconfondibile nota di entusiasmo da cui si capiva che non le interessava veramente una risposta.
“Ti voglio far vedere una cosa”, rispose lui con tono rilassato.
La ragazza si precipitò fuori dal letto, rendendosi conto dopo un attimo di essere ancora vestita. Si mise velocemente le polverose e malridotte scarpe da “esterno” e si unì al nonno che la stava aspettando con un inconsueto sorriso accennato sotto la folta barba grigia, pronta per scoprire i segreti notturni del porto d’imbarco.

 

Nella città stava lentamente albeggiando. Lo si vedeva nonostante il cielo fosse coperto dalla perenne foschia, presente in ogni stagione dell’anno, che rendeva necessario l’allestimento anche a quell’ora di fatiscenti falò, accatastati ed accesi in ogni angolo di strada, facendo risaltare ancora di più la decadenza di quel luogo, che tuttavia conservava una notevole vitalità.
Nonostante conoscesse bene tutti i vicoli che stavano percorrendo, Sabrina li avvertiva permeati di una sorta di aura di mistero che le rendeva quello scenario del tutto inedito, anche se non riusciva a capire perché ai bordi delle strade, malgrado la decantata pericolosità, trovasse in continuazione persone addormentate nei posti e nei modi più disparati e impensabili.
Non ci aveva fatto caso inizialmente, troppi erano i particolari da cui era attirata, solo perché, ed in parte se ne rendeva conto, illuminati da una luce diversa. Così in tutta la prima parte della camminata era corsa avanti e indietro per i vicoli, mantenendo il nonno come fulcro, animata da un’incontenibile sensazione di euforia tanto da farle percepire una normale passeggiata mattutina come una situazione avvincente. E fu in una di quelle scorribande avventate che si avvicinò troppo ad una delle tante sagome inerti, i fantasmi come li ribattezzò lei, su cui ora ricadeva tutta la sua attenzione. Erano rimaste celate ai suoi occhi per tutto il tempo, come se le avesse percepite parti integranti di un articolato paesaggio che nella sua fantasia le ricordava uno di quei vecchi e talvolta divertenti filmati creati prima del grande cambiamento, di cui anche Ivan andava matto, dove si vedevano esseri inconcepibili immersi in paesaggi improbabili, ma così reali da disorientare la mente, in cui per un momento pensò di trovarsi anche lei quando percepì il terreno prendere vita propria.
Sabrina non ricordava più chi fra i due si fosse spaventato per primo, se lei o quel ragazzino impolverato, dalla pelle dello stesso colore della strada, ma fu lei ad inseguirlo subito dopo tentando inutilmente di rassicurarlo, anche se corse per poche decine di metri, intimorita dal movimento che si era creato nel vicolo. Il nonno non disse una parola, la raggiunse senza variare la sua andatura poggiandole una mano fra la scapola e la spalla, sia per confortarla che per farle riprendere la marcia. Da quel momento camminò di fianco a lui per tutto il resto del tragitto, con gli occhi in cerca del ragazzino che aveva malamente svegliato, rammaricata per come si era spaventato alla sua presenza, senza più trovarlo.
Camminavano da molto ormai, e la foschia sembrava essersi diradata, tanto che molti dei falò venivano malamente spenti da alcune di quelle tetre figure che cominciavano ad alzarsi senza che nessuno fosse andato a disturbarle. Si era dimenticata ormai dell’accaduto, anche se da lì in avanti fu uno dei temi più ricorrenti dei suoi sogni, e tutto cominciava ad apparirle come era sempre stato: le sagome riacquisirono le loro sembianze di semplici uomini e donne, come anche la città tornò ad esserle familiare, sebbene non si fosse mai spinta così lontano dalla casa-famiglia e gli edifici apparissero meglio conservati rispetto alla sua zona. L’aria era più frizzante di quando erano partiti ed odorava prepotentemente di mare. Una cosa strana pensò di riflesso, dato che abitava nella stessa città e le sembrava impossibile che potesse alterarsi, o per meglio dire venire inquinata dall’habitat dell’uomo in un così breve tragitto, e nell’immaginare di levarsi sopra il porto per tentare di visualizzare un’ampia panoramica di quella distanza venne folgorata da un’illuminazione. “I fantasmi!”, disse semplicemente fermandosi sul posto. Tutti quegli uomini ai bordi delle strade erano la chiave per capire cos’era successo la notte scorsa. Ne era sicura, più di qualcuno aveva visto i movimenti che si erano creati attorno all’edificio poi esploso.
Sabrina stava per esporre al nonno la sua teoria, quando, fermatosi anche lui, le indicò con una mano un punto del cielo davanti a loro “Siamo arrivati”, disse riprendendo a camminare ed alzando lo sguardo a quello che alla ragazza sembrava essere il solito invalicabile muro di foschia, da cui però, passo dopo passo, si intravedeva prendere forma qualcosa, finché non riuscì a distinguere sempre più chiaramente un’imponente struttura che si ergeva a poche centinaia di metri dal porto.
“E’ qui che vieni ogni notte?”, farfugliò Sabrina, completamente rapita da quella vista, tanto che si era dimenticata all’istante del discorso che voleva fare al nonno.
“Questo è il futuro, il tuo futuro”, disse il vecchio sostando a rimirare quel panorama solo per un attimo.
La ragazza lo seguì attonita. Sapeva perché si trovavano a vivere nel porto d’imbarco, ma non ricordava di essere mai stata così vicino a quella che veniva promessa come la loro nuova città. Forse l’aveva anche vista qualche volta in passato, ma sempre con disinteresse, quasi si trattasse di un mito lontano dalla realtà, su cui non fare affidamento. Ora però era diverso, anche perché era ben più imponente di come la ricordava, essendo passato più di qualche anno, e man mano che la foschia attorno ad essa si diradava, il suo aspetto assumeva sempre più concretezza, sia visivamente che nella prospettiva della sua vita, facendole crescere il desiderio di andare al suo interno, poter toccare le sue pareti, correre nei suoi ampi corridoi, dormire nelle sue stanze; viverla pienamente. Protezione, forse era quello che le suscitava maggiormente nel vederla, amplificando la sensazione di insicurezza con cui conviveva ogni momento della giornata nell’abitare nel porto, un sentimento largamente condiviso dalla popolazione, la cui maggioranza non faceva nemmeno più caso, assumendolo come una costante della vita stessa se non addirittura una sua caratteristica principale.
Il cantiere brulicava di movimento, lo si intuiva dai rumori sempre meno ovattati che giungevano fino a lì, anche se si accorse poi essere provocati dai lavori svolti sulle rive del porto, da dove partivano di continuo enormi container in direzione della città. La ragazza rimase un po’ delusa da quella constatazione, sentendo la realtà della città-piattaforma nuovamente lontana, ma ritrattò subito dopo: in fondo, anche se indirettamente, il lavoro svolto nel porto rispecchiava perfettamente ciò che avveniva nella città, un po’ come se la grandiosità di quel progetto si propagasse al di fuori della sua struttura materiale, e riuscisse a raggiungere già ora le persone che un giorno vi avrebbero abitato.
“Lavorano notte e giorno, senza sosta”, commentò il vecchio guardandosi attorno, salutando con un cenno del capo la guardia armata che ricordava l’avvicinarsi alla zona vietata ai civili.
“Vuoi dire che non hanno nemmeno un giorno di riposo?”, chiese con sorpresa la ragazza, destandosi dai suoi romanticismi.
Il vecchio rise alla sua domanda “Da che vengo qui non li ho mai visti fermi, ma non ricordo nemmeno di aver visto per più di due giorni di fila le stesse facce”, rispose in modo criptico, senza che Sabrina capisse il perché della sua risata iniziale.
Arrivati all’accesso del cantiere si fermarono senza che nessuno intimasse loro l’altolà. Da lì si potevano intravedere le enormi gru posizionate sulla cima della struttura, anche se i movimenti che compivano sembravano essere più distorsioni della vista date dal fissare a lungo un particolare troppo lontano che vere e proprie manovre logistiche.
“Non sembra ma fanno grandi progressi, io lo vedo”, le disse il nonno “Quella parete per esempio, fino a ieri non c’era”
“Quale?”, chiese con vivo interesse la ragazza.
“Quella centrale… e’ difficile fartela notare, da qui non è che una piccola striscia, ma se fossimo stati lì in questi giorni, oggi saremo più in alto di almeno cinque metri”
La ragazza annuì cercando di trasmettere al nonno con un ampio movimento del capo di aver percepito la grandezza di quello che in apparenza sembrava un piccolo, minuscolo progresso.
“Procedono sempre così, salgono ai lati, li rafforzano e poi chiudono i segmenti centrali”
Sabrina rimase muta tutto il tempo, ad osservare ed ascoltare con vivido interesse le spiegazioni datele dal nonno.
“Tra non molto tutta la struttura verrà spostata al largo del porto, ed inabissata. Gran parte di quello che vedi sono le fondamenta della città”; “Non sarebbe mai stato possibile costruirla se vi fosse ancora un sistema basato sullo scambio di moneta”; “Molte delle nuove tecnologie utilizzate derivano dall’evoluzione delle armi impiegate nell’ultima guerra, nella storia ha funzionato spesso così”; “Una volta conclusa, al suo interno si potrà ospitare due volte la popolazione di questa città”, e molti altri interventi che la ragazza al momento non ricordava nemmeno più.
“Sono sicuro che in pochi anni riusciranno ad aprire i primi piani abitabili anche ai civili”, concluse infine.
“Non vedo l’ora”, disse semplicemente la ragazza, destandosi dal suo silenzio.
“Vieni, è ora di tornare, Ivan sarà in pensiero”, disse alzando la testa verso la posizione di un vacuo sole.
Sabrina rimase qualche istante ancora ad osservare la statica struttura, quasi volesse vederla crescere con i suoi occhi ed infine si staccò dalla recinzione, incamminandosi pensierosa per tutto il ritorno.

 

La casa-famiglia era in fermento, e in qualche modo a Sabrina ricordava il giorno in cui lei e suo nonno vennero introdotti nella comunità. C’era gente ovunque, sulla strada, all’ingresso e persino affacciati dalle finestre, come se non avessero nulla da fare, e ciò era strano, perché c’era sempre qualcosa da fare, anche, se non soprattutto, durante le poche feste che si avevano durante l’anno.
Sabrina si staccò dal nonno e corse verso la casa-famiglia in cerca di Ivan, notando la presenza di molti volti sconosciuti, ma nonostante questo in ottimo rapporto con gli altri residenti della comunità.
“Basta bambini! Vi voglio tutti qui!”, si sentì rimproverare dalla finestra del dormitorio maschile dei più piccoli, da dove spuntavano quattro forse cinque curiose manine in lotta fra loro, che lasciarono il ripiano appena pochi istanti dopo il severo richiamo per rientrare rapidamente nella stanza.
Mentre la finestra veniva malamente chiusa, Sabrina ebbe l’impressione di essere al centro dell’attenzione, una cosa che l’aveva sempre messa a disagio, ma che in quel caso le procurava un crescente fastidio mai provato prima. Si scrollò di dosso quell’insofferenza che se mantenuta l’avrebbe fatta arretrare, non poteva farlo, chinò la testa e variò la sua corsa in un’ampia camminata, nel tentativo di diminuire il meno possibile la sua andatura, schivando lo sguardo incuriosito di chi sostava all’ingresso, e senza volgere parola ad alcuno entrò.
“Ivan!”, chiamò Sabrina appena varcata la soglia, dando sfogo all’ansia che le era cresciuta nel presentimento che fosse avvenuto qualcosa di ancora più grave della notte precedente, qualcosa che coinvolgeva la comunità stessa.
Il ragazzo sbucò improvvisamente da una porta laterale del corridoio, facendo sobbalzare Sabrina, che però si trattenne nel darlo a vedere.
“Per fortuna stai bene!”, disse abbracciandolo istintivamente al collo, dimenticando le brutte sensazioni di quegli ultimi, interminabili minuti, senza trovare in lui la medesima accoglienza. Rimase ferma per qualche istante, trattenendo persino il respiro, poi arretrò di qualche passo avvertendo in lui una freddezza fin troppo innaturale.
“E’ successo qualcosa?”, chiese la ragazza temendo qualsiasi risposta, non riuscendo nemmeno a ricordare se la casa-famiglia fosse stata integra o meno al suo arrivo.
Il ragazzo la fissò negli occhi senza esternare alcuna emozione poi deglutì, come nell’interrompere un discorso mai cominciato, ed uscì ignorando ogni sua successiva rimostranza.
Non riusciva a capacitarsi di un simile comportamento, in virtù anche dell’attrazione che, ne era sicura, esercitava su di lui. Forse lo aveva messo in imbarazzo abbracciandolo così davanti a tutti, un gesto troppo azzardato se paragonato allo stadio del loro rapporto, ma del tutto consono alla situazione che stava vivendo, anche se effettivamente non sapeva ancora cosa stavano realmente vivendo. Ritrattò subito quella conclusione, per quanto considerasse Ivan un ragazzo timido, non la convinceva nemmeno un po’. Per giustificare un simile comportamento doveva avergli fatto un torto che lo coinvolgeva personalmente, anche involontario, ma non le veniva in mente nulla di simile. Forse si era preoccupato della sua assenza prolungata, ma se era quella la ragione del suo mutismo sarebbe stata lei a non rivolgergli più la parola, e per un bel po’.
“Ivan fermati!”, urlò Sabrina quando erano ormai al centro della strada, raggelando subito dopo.
Non per la fulgida occhiata colma di collera del ragazzo, ma per la folla che si era radunata attorno a suo nonno.
“E’ lui, lo riconosco”, disse uno degli stranieri al centro del semicerchio che lentamente andava a chiudersi sul vecchio “Sono riuscito a fare anche una foto”, lo indicò sul piccolo pezzo di carta che stringeva fra le mani, sventolandolo subito dopo in faccia alle persone a lui più vicine, senza che queste potessero vederne chiaramente l’immagine.
“Di cosa vengo incriminato precisamente?”, chiese il vecchio con pacata sicurezza.
L’esagitato accusatore cercò di prendere parola, ma si fece avanti un altro uomo nettamente più disinvolto “Di pratiche religiose”, esordì con tono fermo “Finalizzate alla destabilizzazione della Nuova Umanità”, aggiunse poi, scatenando un crescente vociare di stupore fra la piccola folla.
La foto rimasta fino a quel momento oggetto della curiosità di tutti i presenti venne strappata di mano al primo uomo, che cominciò a sbraitare la sua restituzione, trattandosi di una prova importante, senza ottenerla. Girò di mano in mano finché il vecchio, protagonista suo malgrado di quel ritratto, non intervenne.
“Posso vederla anch’io?”, chiese senza scomporsi.
Sabrina si ridestò in quel momento e corse verso suo nonno più veloce che poteva, mentre qualcuno si decise di scomodarsi ed accontentare la sua richiesta. Sabrina arrivò prima di lui, come se aver vinto quella corsa avesse potuto risolvere in qualche modo la situazione, abbracciò il nonno alla vita trascinandolo indietro di qualche metro, stringendolo così forte da sentire male lei stessa al torace.
“Andrà tutto bene”, disse il nonno sorridendole, poi si volse all’uomo e ringraziandolo con un cenno del capo prese la foto che lo incriminava e la guardò per qualche istante.
“Cosa volete sapere?”, chiese il vecchio, senza che nessuno gli rispondesse “Sono io, questo mi sembra evidente”
“E perché si sta recando in quell’edificio?”, chiese il secondo uomo avvicinandosi a lui, entrando maggiormente nell’area vuota formata dalla folla.
“Ma lei conosce già la risposta…”, disse il vecchio.
“Sappiamo cosa si svolge là dentro, ma non ho intenzione di condurre questo processo popolare con un monologo. Se non lo ha capito le sto dando la possibilità di difendersi”, disse l’uomo rivolgendosi più alle persone presenti che a lui, ricevendo ampi consensi.
Sabrina scoppiò in un lamento prolungato a quelle parole, incrociò lo sguardo ora travagliato di Ivan, che in un impeto di rabbia se ne uscì dal cerchio.
“Cosa stanno dicendo nonno? Perché ti stanno facendo questo?!”
Il vecchio accarezzò lievemente la bambina, senza riuscire a calmarla.
“Mi stavo recando al ritrovo serale per pregare, come fa un buon religioso, e come dovrebbe fare ogni uomo su questa terra, perché essa e tutto ciò di cui beneficiamo è frutto della volontà dell’Unico”, disse il vecchio sollevando un coro di stupore ed indignazione.
“Come durante tutte le notti che si assenta dalla comunità nonostante vi sia un preciso divieto? Come la notte dell’attentato?”, disse l’uomo cercando conferma in qualche rappresentante della casa-famiglia, ottenendolo.
“No!”, urlò Sabrina “Siamo andati a vedere la torre! Il nostro futuro! Diglielo nonno, tu vai a vedere la torre ogni notte… perché non riesci a dormire”, disse scoppiando in lacrime.
“Ora vai”, disse il vecchio, ottenendo solamente una maggiore opposizione dalla ragazza, che si strinse ancora di più a lui “Ivan!”, lo chiamò il vecchio “Portala in casa!”, gli ordinò, sicuro si trovasse nei paraggi.
Il ragazzo si fece strada fra la gente e singhiozzante gli rispose con un unico cenno affermativo.
“Non così presto!”, disse l’uomo passato ormai al centro del dinamico spiazzo.
“No!”, urlò il vecchio con tutto il fiato che aveva “Lei non centra niente!”, reagì con uno scatto verso l’uomo, ma venne intralciato da Sabrina, perdendo per la prima volta la calma che lo aveva contraddistinto fino ad all’ora, sollevando una discreta compiacenza nel suo accusatore.
“Non siete forse voi religiosi a punire con la morte tutti gli appartenenti alla Nuova Umanità? No, le vostre pratiche vanno ben oltre, e promettete maggiore redenzione per gli eretici qualora sia un parente, se non la madre stessa ad eseguire la condanna”
“Io non ho mai visto commettere nulla del genere! L’Unico non ha mai preteso nulla del genere!”
“Non è quello che risulta a me”, disse prelevando un libro da una sacca che aveva con sé “Lo riconosce?”
“Non agli uomini che dicono di professare la mia volontà dovrai un giorno rendere conto”, recitò il vecchio, fissando il libro che recava in caratteri cubitali finemente decorati un’unica dicitura “LA PAROLA”, poi approfittando di un attimo di silenzio spinse Sabrina verso Ivan, che non perse l’opportunità e prese la ragazza per la mano, trascinandola verso di lui.
“Nonno!”, esclamò la ragazza nel vano tentativo di protendersi verso di lui.
“Pensate di potervela cavare così?”, chiese l’uomo con un certo stupore.
“Prendo io la responsabilità nei suoi confronti”, riuscì a dire Ivan con voce tremolante, ma sostenuta, ricevendo assenso dal vecchio ora visibilmente più rilassato.
“Non è così facile… la ragazza potrebbe essere già stata educata nella falsità della religione e covare dentro di sé il seme dell’odio”, disse l’uomo scrutandola attentamente, esibendo a tratti un’espressione dispiaciuta, anche se nessuno poté giurarci,.
Il vecchio si trattenne da qualsiasi rimostranza, certo che avrebbe potuto compromettere le esigue possibilità di Sabrina, si limitò a pregare, sottovoce, senza che nessuno potesse distinguere quello che stava dicendo.
“Non nella mia comunità!”, intervenne Ines, una donna di mezza età, rimasta in disparte fino a quel momento, come si usava fare in quei casi, ma allarmata dalle accuse che avrebbero potuto minacciare il futuro della neo nata casa-famiglia.
“Grazie”, sillabò il vecchio, fissando ancora a lungo la donna dritta negli occhi.
“Non volevo mettere in dubbio l’integrità della vostra casa…”, esitò per un momento l’uomo, riordinando le idee.
“Può chiedere a chiunque”, disse la donna entrando di qualche passo nella cerchia “Sapevamo delle sue assenze notturne, ma non i motivi, quelli no…”, continuò esibendo un gesto di disapprovazione più verso se stessa che a chiunque altro “però posso assicurare che Sabrina è sempre rimasta nella casa, tranne questa notte”
“Ve l’ho già detto!”, intervenne la ragazza con irruenza, quasi ad interrompere la donna “Siamo andati a vedere la nuova città, nel porto!”, enfatizzò le sue ragioni indicando sommariamente con entrambe le braccia la direzione in cui si trovava, ricollegando in un barlume di lucidità tutti i discorsi e i fatti di quei giorni, capendo chiaramente solo in quel momento il capo di accusa che veniva sollevato nei confronti di suo nonno, considerandolo privo di senso, se non del tutto ridicolo.
“I fantasmi!”, disse subito dopo ad occhi sgranati, lasciando tutti interdetti “Loro sanno cos’è successo la notte scorsa!”
L’uomo al centro del cerchio alzò le braccia indicandola a palmi aperti, ad evidenziare la palese prova della sua educazione distorta.
“I fantasmi?!”, ripeté Ivan prima che qualcuno potesse aggiungere altro.
“Sì! Gli uomini che vivono per strada…”, ritrattò Sabrina “Loro devono aver visto i colpevoli dell’attentato, dovete chiedere a loro!”
“Sabrina, cosa stai dicendo?”, la riprese Ivan parlando sottovoce “I diseredati non sono considerati affidabili… anzi si pensa che molti di loro siano complici dei terroristi. Basta un tozzo di pane per comprarli”
“E allora dategli anche del formaggio!”, ribatté la ragazza.
“Tu non vuoi capire…”, disse Ivan cominciando a sudare freddo “Ti direbbero quello che vuoi sentirti dire”, concluse guardandosi attorno con circospezione, accorgendosi che ogni battuta del loro breve dibattito era stata udita da tutti. Anche l’accusatore sembrava non sapere cosa dire, ammutolito e pensieroso come gli altri, si limitava a fissare la ragazza con evidente perplessità.
“Sabrina, Ivan ha ragione. Io ero consapevole dei rischi a cui andavo incontro, semplicemente non ho potuto farne a meno, perché reputavo gli obblighi della mia dottrina superiori a qualsiasi altra cosa. Tradirli sarebbe stato come tradire me stesso, ma sono stato un egoista a non pensare al male che avrei recato a te. Io in un certo senso lo merito, mi basta sapere che tu starai bene”, disse il vecchio guardando Ivan.
“Ma non è giusto… tu non hai fatto niente, io lo so! E se ti conoscessero lo saprebbero anche loro”, disse Sabrina accasciandosi al suolo, ormai rassegnata al tragico epilogo.
Il vecchio si limitò a guardarla mortificato “In quanto a voi”, si rivolse poi all’uomo “Se dite di sorvegliare quel luogo di preghiera, allora saprete che questa notte mi sono recato là da solo”
L’uomo trasse un profondo respiro e chiamò a lui un giovane rimasto in disparte per tutto il tempo. Si confrontò brevemente con lui approfittando di quel momento per massaggiarsi le orbite degli occhi, doloranti dalla tensione e da una notte pressoché insonne, quindi lo lasciò andare.
“Quello che dici è vero… ma rimane una questione che ho l’obbligo di affrontare”, disse senza ricevere replica da nessuno “Come tu stesso hai ammesso, non hai saputo fare a meno di seguire i precetti che la religione ti imponeva, così chi è cresciuto in simili contesti non potrà che manifestare un giorno le stesse esigenze. Non credo sia possibile crescere la propria nipote al di fuori di quello che si crede essere la verità. Non avendo prove concrete di una partecipazione diretta a quelle che noi sappiamo essere riunioni cospiratrici, mi vedo costretto ad evidenziare con il fuoco la dottrina che le è stata imposta nel corso della propria vita, di modo che chiunque in futuro possa riconoscere in lei il potenziale pericolo che rappresenta”, concluse l’uomo “Mi dispiace, è la pena minore che posso infliggerle…”, aggiunse poi sottovoce, scuotendo la testa.
Sabrina raggelò a quelle parole, mentre Ivan la stringeva sempre più forte in una morsa che però non le provocò alcun dolore.
Marchiata a vita… bollata agli occhi di tutti come colpevole di una cosa mai commessa. Privata di suo nonno, ucciso, giustiziato, no, assassinato per un’azione, lui, che non avrebbe mai commesso in vita sua, e che i suoi aguzzini invece si apprestavano a compiere con tanta facilità, senza accertarsi prima di una sua reale implicazione. Si chiedeva se quegli uomini si rendessero conto che gli stessi problemi che stavano cercando di combattere si sarebbero moltiplicati sempre più a causa del loro modo di agire, portato avanti come l’unica soluzione possibile per risolvere una faida dove nessuno ne ricordava più l’origine.
“Se il problema è la mia parentela con lei, allora non esiste alcun problema”, disse il vecchio spostando l’attenzione da Sabrina “Perché io non sono suo nonno”, si sforzò di dire, ammutolendo la platea “Semplicemente l’ho trovata infreddolita ed affamata il giorno che sono arrivato in questa città, e da allora rappresenta tutta la mia famiglia… ed io la sua”, disse rivolgendosi alla ragazza, non riuscendo a sostenere il suo sguardo incredule.
“Non é vero!”, si oppose Sabrina dimenticando il rancore che stava provando fino a pochi istanti prima, propensa più ad essere marchiata a vita nel nome di quell’uomo, sancendo a vita la sua parentela con lui, piuttosto di uscirne indenne pagando una punizione che ai suoi occhi appariva ben più crudele.
“E’ la verità, dovresti ricordare, non eri poi così piccola”, replicò il vecchio.
“Tu sei mio nonno! Non ti rinnegherò per salvarmi! Marchiatemi, uccidetemi con lui se preferite, ma non dirò mai il contrario!”, disse perdendo via via la sua convinzione, notando solo allora le sostanziali differenze che c’erano fra loro, dalla carnagione della pelle al taglio degli occhi ed innumerevoli altri particolari. In effetti non c’era niente che potesse far pensare che quell’uomo fosse suo nonno.
“Capisco la tua difficoltà ad accettarlo”, disse il vecchio commuovendosi “ma rispondi sinceramente alla mia domanda: hai dei ricordi dei tuoi genitori e di me insieme? Se ci rifletti bene sai che quello che dico è vero”
La ragazza chinò la testa concentrandosi intensamente, rivivendo momenti dove si confondevano ricordi intrecciati che poco alla volta, ostacolati dalla sua volontà, riuscì a distinguere, aiutata anche dalle successive parole dell’uomo che voleva credere essere suo nonno.
“Non puoi, perché io non li ho mai conosciuti…”, disse il vecchio “Quello che ci accomuna è l’essere sopravvissuti in un’epoca tanto buia, ed è per questo che non sarai mai sola”, disse allargando le braccia ad indicare la folla attorno a loro “perché anche tutte queste persone in qualche modo fanno parte della tua famiglia, a partire da Ivan”, concluse riuscendo a commuovere più di qualcuno dei presenti.
“Allora è deciso!”, sentenziò l’uomo incaricato del processo, valutando veritiere le parole del vecchio, dato che dopo l’Evento era più facile che le famiglie fossero composte per aggregazione che non per nascita diretta.
“Non così in fretta”, si espresse un uomo in divisa senza scomporsi troppo, raggiungendo il vecchio al centro dello spiazzo “Vogliamo dei nomi”, gli si rivolse con aria pacata.
“Quello che cercate non si trova nei luoghi di preghiera… piuttosto fareste bene a guardare all’interno delle vostre stesse strutture”, disse il vecchio convinto delle sue parole.
“Mi sembra sia quello che stiamo facendo”, disse il militare indicando con un cenno la casa-famiglia, soffermandosi poi a guardare Sabrina.
“Li avrete”, si affrettò a dire il vecchio dopo aver notato dove ricadeva la sua attenzione “Ma solo quelli che reputo essere pericolosi”
L’uomo rimase in silenzio scrutandolo con aria glaciale.
“Ha la mia parola”, sottolineò il vecchio con tono di supplica.
“Non mi dia nominativi falsi”, concluse il militare facendo intendere le conseguenze di una simile azione. Il vecchio non fece a tempo a replicare che il militare già lontano da lui diede il suo assenso all’uomo incaricato di svolgere il processo.
Le voci che riguardarono quella sentenza sostennero che l’uomo non avesse aspettato altro che la possibilità di salvare la bambina da qualsiasi pena, e nessuno gli recriminò mai quella decisione, anche se si riconduce ad essa il ruolo marginale che ebbe da quel giorno negli incarichi ufficiali.
“Ivan, è ora”, disse il vecchio quando vide muoversi verso di lui alcuni uomini armati, esortando il ragazzo ad allontanarsi assieme a Sabrina “Te l’affido!”, aggiunse scambiando uno sguardo di intesa con il ragazzo, che si gonfiò di orgoglio, scacciandolo subito dopo, combattuto per il modo in cui aveva ottenuto quell’ambita responsabilità.
“No!”, esclamò la ragazza divincolandosi dalla presa ormai morbida che l’aveva tenuta lontana dal nonno. Corse verso di lui abbracciandolo, mentre l’uomo incaricato del processo fermava con un cenno i militari “Lasciatele due minuti”, disse semplicemente, lanciando qualche occhiata fuggevole al comandante, che rimase impassibile, approvando a modo suo quell’ultima concessione.
“Non c’è niente che puoi fare”, le disse il vecchio.
La ragazza annuì “Troverò i colpevoli!”, si espresse in termini solenni, trattenendosi dal piangere.
Il vecchio non replicò, sapendo che ogni sua rimostranza sarebbe stata inutile e non avrebbe fatto altro che rovinare quegli ultimi istanti “Veglierò su di te”, disse dandole un lieve bacio sulla fronte.
La ragazza si allontanò lentamente dall’uomo, senza levargli gli occhi di dosso, quando venne folgorata da un pensiero che la fece vacillare, tornò sui suoi passi fermandosi a qualche metro da lui, quasi lo avvertisse come uno sconosciuto.
“Io non ricordo più il tuo nome…”, arrossì visibilmente stringendosi in un abbraccio imbarazzato.
Il vecchio sorrise con tutto il viso “Perché non lo hai mai saputo”, disse facendole segno di avvicinarsi. La ragazza eseguì ed il vecchio le si avvicinò all’orecchio sussurrando il suo nome, di modo che nessun altro potesse sentirlo, rendendolo esclusivo della sua nipote acquisita, che sebbene tale rimaneva l’unica parente di cui aveva notizia solcasse ancora la loro martoriata terra, eredità di una stirpe già dimenticata, che aveva rincorso il possesso sopra ogni altra cosa.
“Tu sarai sempre e solo mio nonno”, disse la ragazza venendo allontanata dal vecchio, felice di vedere in lei l’emergere della persona che sarebbe diventata.
Ivan la prese sottobraccio, accompagnandola all’interno della casa-famiglia, mentre venivano sbrigativamente fatti i preparativi per l’esecuzione.
Non parlarono, per tutto il tempo, poi un ordine venne a rompere l’innaturale silenzio che si era creato dentro e fuori la casa; scarponi pesanti batterono all’unisono a proclamare la loro cieca fedeltà, smuovendo la fitta polvere accumulata sulla strada; un altro, ultimo comando, raggelò il sangue di chiunque gli fosse giunto all’orecchio, a cui susseguì un boato di fredde bocche di metallo, un coro echeggiato che soffocò qualsiasi altra emozione, mettendo a tacere per sempre un uomo considerato giusto da tutti, anche dai suoi aguzzini. Nella casa il pianto sommesso ed inconsolabile di una giovane donna.

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